Quello che ci piacerebbe è imparare da te, perché crediamo che si possa crescere e maturare, o anche solo sentirsi meglio, attraverso gli altri.

DISCORSI SEMISERI DI TRE ANIME ERRANTI

Tema del mese: compleanni

Mi piace il giorno del mio compleanno.
Mi piace svegliarmi pensando che sarà una giornata speciale - non serve meritarla, lo sarà a prescindere, perché è la mia giornata. Mi piace l’idea di rivedere regali; e di farmeli, anche. Forse non dovrebbe servire una scusa, per farsi un regalo; ma a me piace averla.
Mi piace perché quando è il mio compleanno vuol dire che manca poco a Natale, e c’è freddo, e si fa vacanza. Mi piace anche se manca poco a Natale, e con questa scusa qualche regalo si perde sempre per strada - il famoso regalo grosso, che dovrebbe comprenderne due ma che alla fine non è un regalo grosso ma solo una fregatura - ma va beh.
Mi piace entrare in pasticceria e comprare dolci da condividere, mi piace offrirli e spiegare “è il mio compleanno”, e così poi tutti mi fanno gli auguri, che è una cosa che mi imbarazza ma anche mi piace.
Ricordo da bambina la cioccolata calda che la mamma mi faceva per colazione, ogni anno; un modo dolcissimo di rendere speciale la giornata.

DISCORSI SEMISERI DI TRE ANIME ERRANTI

Tema del mese: "Un giorno lo faremo davvero"

Un giorno lo farò davvero

(“Domani, giuro, scrivo” è il podcast del Penelope Story Lab, e trovo che sia un titolo geniale - momento pubblicità: cercatelo, ascoltatelo, cercate la pagina della scuola, fanno un sacco di roba interessante).
Potrei parlare di diete e allenamenti e comportamenti corretti e sani e perfino di viaggi intorno al mondo – ma no, questi forse non li farò mai – e invece parlerò di piccole, piccole cose. Quel che rimando di più, a parte la colazione con i miei amici di Ingiustizie Quotidiane, la colazione ormai è diventata un brunch, un pranzo, un aperitivo, una cena, una settimana all inclusive; quel che rimando di più, son le letture. Mi scrivo su whatsapp, mi invio link a interviste e blog e suggerimenti letterari e indicazioni di concorsi; suggerimenti più o meno colti, della natura più varia. Perché ho la fortuna di ricevere un sacco di stimoli, certe volte anche mille in un giorno (questo il numero dei messaggi della chat degli scrittori); e quelli che mi interessano me li mando nella chat che ho con me stessa. Quasi tutti, in realtà: anche quelli che sono troppo difficili per me, perché ne sento parlare con entusiasmo e l’entusiasmo è contagioso.
Domani scrivo, domani leggo, domani sbrino il freezer, spolvero l’enciclopedia di Montanelli e se mi avanza tempo prendo il cesto dei calzini spaiati e li sistemo tutti.
Io credo moltissimo nelle piccole cose, nei movimenti lenti, credo che i calzini si possano portare anche spaiati e che quando rimandiamo una cosa, una cosa piccola che potremmo benissimo fare e invece non la facciamo, vuol dire semplicemente che non ne abbiamo voglia: e non c’è niente di male se non ne abbiamo voglia. E neanche se ci raccontiamo qualche balla non c’è niente di male, se ci inventiamo scuse o ragioni ridicole, penso che abbiamo il diritto di essere stanchi, pigri, paurosi, scoraggiati. L’importante, a un certo punto, è saperlo: vuoi avere paura tutta la vita, ok, è un tuo diritto, puoi mentire anche per un po’, poi basta, poi ti accetti così come sei, ti serve a non impazzire, a non stare tutto il tempo trattenendo il fiato, ti serve a riconoscerti. E magari, se riesci, se vuoi, se sei abbastanza fortunato, abbastanza forte o abbastanza furbo, non lo so, ti serve a cambiare.

APNEA

Ecco il secondo racconto fuori concorso

accompagnato dall'opera "L'angelo azzurro" dell'artista Mich Siamo Cosmo - action painting con spatole di acrilici

Io metto la mascherina sempre, la FFP2, perché non si sa mai. Negli ultimi mesi (circa 22), evito i luoghi affollati, chiusi, dove si mangia, si beve, si fa festa, si balla, ci si trova tra amici, si incontrano persone nuove, si rivedono persone vecchie. Evito come la peste bar, ristoranti, cinema e teatro. Frequento solo supermercati e chiese.
Ho trovato un nuovo equilibrio. Ora non ho più problemi di relazione. Frequento solo i colleghi di lavoro (con cui non parlo), farmacie e supermercati. Ho le tre dosi di vaccino, ma continuo a fare un tampone ogni due settimane, per senso civico. Il mio medico mi ha prescritto un antidepressivo, ma io gli ho detto che non sono depresso, è normale, anzi saggio, evitare la gente in questo periodo; è normale, anzi realistico, avere pensieri di morte più volte al giorno. Basta guardare qualsiasi telegiornale, è evidente che solo gli irresponsabili pensano a godersi la vita, non vogliono capire che, per il bene di tutti, bisogna stare a casa il più possibile.
Ieri, però, ho fatto una passeggiata nel bosco. Il sole m’infilzava coi suoi raggi, l’aria era quasi tiepida, come se la primavera fosse dietro l’angolo, assopita ma pronta al risveglio. Ho sperimentato alcuni secondi di felicità, mentre sentivo il tepore sul viso. Poi ho pensato a tutti i morti per Covid, mi sono sentito in colpa. Ho pensato che dovrei morire un poco anch’io, per essere più vicino a loro. In fondo, dovremmo sentirci tutti degli schifosi privilegiati per essere vivi, e pretendere la libertà, quando c’è chi non può nemmeno più respirare. Credo che tratterrò il fiato per dieci minuti, per solidarietà e senso civico. Credo che dovremmo farlo tutti.

 Emanuele

Primo concorso di racconti - Ingiustizie Quotidiane

- Racconti ingiusti - 

 

Amici lettori, amiche lettrici,
eccoci in partenza per una nuova avventura letteraria.
Ingiustizie Quotidiane presenta il suo primo concorso per racconti, e siamo felici di spiegarvi le regole da seguire – poche: perché è stato democraticamente stabilito che le regole ci stanno strette, e non ne andiamo matti.
Prima cosa: la perfezione non ci interessa, vogliamo emozionarci; e questo sarà il nostro criterio di valutazione.

Il tema del racconto deve essere un’ingiustizia: subìta, imposta, osservata, rimasta tale o ribaltata, vera o inventata, a lieto fine, a fine tragico, quel che volete – ma chiediamo il vostro sguardo su ciò che non va nel mondo, per capirlo a fondo e provare a renderlo migliore.
La lunghezza è libera, anche se i racconti più lunghi di sei cartelle se li legge tutti Giulia, che non ha voluto imporre limiti in tal senso. Scherzi a parte: può essere lungo quanto volete, l’importante è che ci mandiate cose bellissime.
I racconti andranno inviati alla mail di ingiustizie quotidiane entro il 14 aprile 2022, noi poi ci prendiamo il tempo che serve (un mese circa) e ci divertiremo a leggere e a proclamare i vincitori: il nostro giudizio è insindacabile - che responsabilità dire una cosa del genere! - ma spiegheremo volentieri i motivi della nostra scelta. Ah, “noi” siamo gli autori della Trirubrica "Discorsi semiseri di tre anime erranti": Giulia, Elena, Emanuele; e avremo, in nostro aiuto, un giudice ad honorem, Eugenio, la persona che lavora per noi dietro le quinte esperto nella creazione di siti internet.

Vi proponiamo per cominciare due racconti “fuori concorso” che verranno pubblicati in settimana.
Cosa importantissima, sono previsti dei premi!
Il primo classificato riceverà la maglietta di Ingiustizie Quotidiane.
Il secondo classificato riceverà la tazza di Ingiustizie Quotidiane.
Il terzo classificato riceverà il quaderno di Ingiustizie Quotidiane.
Un premio speciale è previsto per il racconto più originale.
In cambio di questa bella novità e di tutti questi premi, quel che vi chiediamo è di scrivere! Passate parola ad amici, amiche, conoscenti, al panettiere, ai nonni, a chi volete, e per qualsiasi domanda o dubbio chiedeteci pure, per mail, su facebook o anche in privato, se avete la fortuna di conoscerci personalmente.
MANDATE I VOSTRI RACCONTI A: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Grazie per la vostra partecipazione, aspettiamo i vostri racconti!

Giulia, Elena, Emanuele

Immagine: "Passi felpati" - opera di Mitch "Siamo Cosmo"

Il tema del mese: guardarsi dentro


Quando Ema ci ha proposto questo tema, non pensavo che avrei scritto queste cose. Lui ci ha raccontato una storiella carina su una donna che cerca fuori una cosa che ha perso dentro, e la morale era facile, era scontata e assolutamente condivisibile, la morale era d’accordo con me sul fatto che non ha alcun senso cercare fuori quello che sai di aver perso dentro. A questi temi, trasposti in metafore più o meno calzanti, ho pensato spesso in questi giorni. Oggi però, mentre lavavo i piatti, mi è venuto prepotente il pensiero che dentro di noi in realtà ci sia un abisso, e che se perdiamo qualcosa lì non lo ritroveremo mai; quindi il cercare fuori, anche se si tratta di qualcosa che non troverai, assume un altro significato: di illusione, forse, ma anche, in qualche modo, di salvezza. Finta. Ma conta tanto? Comunque sia, ho lasciato lì i piatti da lavare e ho cercato di mettere i miei deliri sulla carta. Devo dire che non sono certa di aver capito cosa ho scritto, ma mi sono divertita tanto.
Guardarci dentro non fa di noi dei saggi, degli eroi, delle persone profonde. Guardarci dentro fa di noi dei pazzi, qualcuno di cui non ci si dovrebbe fidare. Dovremmo essere onesti, e dirlo fino in fondo.
Guardarci dentro non significa vedere le nostre nostre contraddizioni e le nostre bugie – noi che andiamo a messa e insegniamo ai nostri figli che mentire è peccato, non possiamo essere così stupidi da pensare che sia questo il male peggiore.
Guardarci dentro ci mostra le bugie che non abbiamo il coraggio di dire; ci mostra non quello che siamo davvero ma quello che non siamo diventati, e non so quale sia la differenza, non so nemmeno se una differenza ci sia, dovreste guardarvi dentro per capire davvero. Guardarci dentro significa vedere il marcio; anche se siamo brave persone, sì, perché siamo tutti brave persone, e abbiamo tutti il marcio dentro – solo che non lo vogliamo vedere. Le cose peggiori, quelle difficili da dire, sono ben nascoste in fondo: sotto alle paure, sotto alle piccolezze, sotto alle incongruenze, sotto alla voglia che abbiamo di fare cose sbagliate e sotto al coraggio che ci manca per farle davvero. Sotto, in fondo a tutto, c’è qualcosa che non capisco – qualcosa di cui aver paura, qualche che per fortuna, forse, non so.

 

Tema del mese: "Strappare lungo i bordi" di Zerocalcare


Ho visto Strappare lungo i bordi due volte

Ho visto Strappare lungo i bordi due volte, la seconda finita poco fa, perché doverne scrivere mi metteva un po’ in difficoltà e volevo essere sicura di avere qualcosa di intelligente da dire. Così mi sono messa con carta e penna a prendere appunti, non proprio in preda ad ansia da prestazione, forse più a qualcosa che assomiglia a un timore reverenziale. Non penso che Zerocalcare sia un genio del quale non devo permettermi di parlare, no, il discorso è molto più semplice: il fatto è che io le recensioni non le so fare. Ma va beh, che ve lo dico a fare, ve ne accorgerete pure voi.
La serie parla di mille cose, di sensi di colpa, di gelati, di responsabilità sociale, di come si cambia una ruota, di timidezza, lavoro, amicizia, parla di un ragazzino che non capisce un cazzo di matematica, che poi cresce e diventa un adulto che non capisce un cazzo della vita; e come sia umanamente possibile non identificarsi col protagonista, a me non è dato sapere.
A me è piaciuta tantissimo. Ecco, io questo devo dire, e poi posso smettere di scrivere. L’ho trovata emozionante, divertente anche nei momenti meno originali, intelligente, profonda, coinvolgente. Amo il modo in cui Zerocalcare mostra le cose dal punto di vista del protagonista, e le presenta come fossero assolute, perché è così che il protagonista le vede. A smantellare certezze e paure poi non basta la coscienza, non basta l’amica Sara, non bastano i genitori di Alice; ma intanto questi inseriscono punti di vista altri, creano dubbi, offrono appigli.

DISCORSI SEMISERI DI TRE ANIME ERRANTI

Il tema del mese: OLIMPIADI

Al mare la televisione non andava, c’era un cavo che forse bisognava spostare ma non ce ne siamo preoccupati, e siamo stati quindici giorni senza notizie, senza leggere nulla nemmeno dal cellulare. E adesso forse non dovrei accettare di scrivere un pezzo sulle Olimpiadi, non ho visto niente, non ho seguito niente, e non ho nemmeno una cultura per vivere di rendita.
Però c’è qualcosa di cui vorrei raccontare: farò come a scuola quando non avevo studiato e lo stesso scrivevo per ore del nulla, e naturalmente chiunque si accorgeva che scrivevo del nulla ma io mi divertivo tantissimo e alla fine era un bel modo comunque di passare il tempo - solo che stavolta c’è qualcosa che voglio dire, anche se le Olimpiadi sono solo un pretesto.
Faccio parte di una chat di scrittori. Si chiama proprio così. Qualcuno ha pubblicato, qualcuno scrive per lavoro, qualcuno scrive solo la lista della spesa (ma la scrive da dio!); siamo scrittori, e va bene così. Io non sono parte attiva, leggo – spesso con ritardo – ma non intervengo praticamente mai, un po’ per timidezza, un po’ perché le cose da dire mi vengono in mente quando loro hanno già cambiato discorso sette volte; ma non abbandono, sono divertenti e sufficientemente stupidi a volte, sempre interessanti, mi regalano spunti di riflessione e opinioni diverse e intelligenti, e parlano di tutto. Di scrittura, di libri, di accenti e del senso della vita, di musica, di cibo, di sport. E si incontrano e mangiano e bevono e presentano libri e progettano matrimoni e sono belli, e sanno spiegare cos’è il fuorigioco; mille qualità, questi scrittori.
Le olimpiadi le ho seguite dai loro messaggi, la mattina con il programma della giornata, la sera fino a tardi con i risultati.

Storie di convivenza con il Covid-19

FA MALE NON POTERSI ABBRACCIARE

Qualche notte fa ho sognato una spiaggia bellissima, ero col mio moroso e un amico e alle otto di mattina – perché noi ci svegliamo presto – avevamo già steso l’asciugamano sui sassolini, e si stava benissimo, non c’era nessuno, la temperatura era perfetta, i sassi non pungevano. Alle dieci mi sono alzata per fare un bagno e la spiaggia si era riempita, ma per fortuna il mare era ancora vuoto. Quando sono arrivata a bagnarmi i piedi, all’improvviso due bambini – avranno avuto quattro o cinque anni, erano alti uguali e fisicamente indistinguibili – mi si sono attaccati al collo per giocare con me in mezzo al mare. La sensazione è stata terribile: li avrei voluti tenere stretti e li avrei fatti divertire tantissimo con le onde. Ma avevo paura che mi contagiassero. Cercavo in tutti i modi di farli scendere dalla mia schiena. Tenevo la testa bassa perché la mia bocca non si avvicinasse al loro viso. Loro stringevano forte, e pesavano troppo sul mio collo, mi sembrava di non farcela. Cercavo di non cadere, di non soffocare e di nascondermi, perché il mio amico dalla spiaggia sembrava vedermi e additarmi come infetta. Avevo la sensazione che quei bambini sarebbero stati la mia rovina, perché dopo essere stata in contatto con loro nessuno mai avrebbe creduto al mio stato di salute, e sarei finita isolata. Il sogno non è finito; mi sono, semplicemente, svegliata.

Ecco il primo racconto fuori concorso.

Proprio da questo racconto nasce l'idea del concorso letterario per racconti di ingiustiziequotidiane.

Si tratta del primo racconto che abbia mai scritto e ringrazio di cuore la mia maestra di scrittura Elena per gli indispensabili aiuti e consigli.

Lo accompagna l'opera: "Pensieri e parole" di Mitch Siamo Cosmo - grattage con stucco e acrilici

 

PERMESSO DI SOGGIORNO PER VIVERE SULLA TERRA
 
 Susanna è un architetto, ha trentotto anni, un marito, due figli, e - a detta di quelli che la conoscono - è una persona onesta, una di cui fidarsi (a parte per la sua "sindrome da ritardo cronico"). È una di quelle persone che ci mettono il cuore in tutto quello che fanno, anche nel lavoro, anche se lì - in termini economici - non è valso a molto. Ha quel che basta per una vita dignitosa, alla sua famiglia non manca nulla, ma non può certo permettersi velleità. Si dedica anche al volontariato. Potete capire che è una persona molto impegnata, così impegnata che non spende il suo tempo a tenere in ordine l’auto, o meglio, in generale, a tenere in ordine qualsiasi cosa, dalla scrivania al divano. Per lei, quando l’auto fa il suo servizio di portarla in giro non c’è altro di cui interessarsi. Susanna guida un’auto vecchiotta che - se vogliamo dirla tutta - non è nemmeno sua, un’utilitaria senza servo sterzo, senza aria condizionata, con i finestrini che scendono a manovella e che ha ormai superato i vent’anni. Negli ultimi mesi, non l’ha nemmeno portata a lavare (e si vede!). Susanna pensa che tutto può servire, quindi, nel suo bagagliaio potete trovare qualsiasi cosa: fazzoletti, ombrelli, bottiglie d’acqua, disinfettanti, coperte, kit d’emergenza, buste e contenitori di varie forme e misure, tutte le cose utili (o inutili) che possiate immaginare e l’immancabile pallone da basket (la sua passione) perché non si sa mai che capiti di fare una partitella improvvisava o tirare qualche canestro in un campetto di fortuna.
In realtà, lei non si sposta molto in auto avendo la fortuna di avere lo studio vicino a casa; la vedi quasi sempre in bicicletta o, talvolta, a piedi. Ieri, pur controvoglia, essendo sabato, Susanna ha preso l’auto per andare dal benzinaio perché lunedì ha una trasferta di lavoro e, già da qualche giorno, ha finito la benzina.
È così che Susanna viene fermata dalla Polizia Stradale appostata in una rotonda sotto un cavalcavia che si trova proprio a due passi dal distributore. Non li aveva mai trovati lì e inizia a sorgerle qualche dubbio.

DISCORSI SEMISERI DI TRE ANIME ERRANTI

Il tema del mese: La scuola

 

Le cose che ho visto a scuola

 

Quest’anno ho lavorato alla scuola del mio paese, dove ho fatto le elementari un numero imprecisato di anni fa.

Come ha detto Christian, il più pestifero dei bambini, ero lì a “pulire i cessi”; ma ho comunque avuto modo di vedere certi meccanismi e respirare una certa aria.

Ho visto insegnanti brave, preparate, stanche e preoccupate, innamorate del lavoro e degli alunni; le ho sentite urlare da far tremare i muri (giuro). Le ho viste cacciare i bimbi fuori dall’aula anche se nel foglio che mi han fatto firmare c’è scritto che non si può.

Ho visto i bambini menarsi e gridarsi bestemmie e le peggio offese, tanto che speravo di aver sentito male, ma invece avevo sentito bene; li ho visti abbracciarsi con le mascherine e aiutarsi e tenersi per mano e calciarsi le cartelle e cercarsi e scappare e mai stanchi, quello mi faceva impazzire, non li ho mai visti stanchi.

Tema del mese: Nati senza telefonino

Primi anni ‘90. Conosco a una festa un ragazzo molto carino: si chiama Simone e frequenta la scuola dei miei fratelli, a loro lui non piace, a me sì; mi sembra l’inizio perfetto per una bellissima storia d’amore. Dopo esserci visti un paio di volte a casa di amici, Simone mi da appuntamento in centro, davanti a Ricordi. Era una mattina di luglio, niente scuola; il paesino dove abito non offre niente, e sono felice di andare in città. Mi ricordo che i primi cinque minuti li ho passati a guardarmi intorno, emozionata; anche i successivi cinque. Dopo il quarto d’ora di ritardo mi sentivo un po’ delusa, ma ancora talmente emozionata che ho speso 20.000 lire (ventimila lire! Come facevo ad avere quella somma con me, era stranissimo!) per due profumi (profumi!) da uomo (da uomo!) che vendeva un ex carcerato. Tipico di me fare queste spese inutili. Ma pensavo che se fossi stata gentile magari Simone sarebbe arrivato, per una sorta di giustizia karmica. Dopo mezz’ora mi sono decisa ad alzarmi dalla panchina dove ero ormai spiaggiata, volevo sgranchirmi le gambe – senza allontanarmi troppo, naturalmente. Simone aveva il mio numero di telefono di casa, ma io il suo non l’avevo. E poi non avrei potuto chiamarlo a casa, non l’avrei trovato, lui stava vedendo in centro da me. L’ho aspettato un’ora, ma forse anche un’ora e mezza; non era previsto che lui non sarebbe venuto. Quando sono dovuta tornare a casa – ero con gli zii che mi davano un passaggio – quasi volevo lasciargli un bigliettino sulla panchina: scusami se non ho aspettato abbastanza (e sì, ero malata, ma questo è un racconto sui cellulari, non sulle mie turbe psichiche). Gli zii non sapevano del mio appuntamento e io in macchina non avevo detto niente. Arrivati a casa – ero ospite da loro per qualche giorno – mio cugino mi aveva detto: finalmente sei tornata, è tutta stamattina che Simone ti cerca. Qualcosa deve essere andato storto anche in seguito, non me lo ricordo bene, ma la mia storia d’amore con Simone era finita prima ancora di cominciare. Il senso di questa storia è che se fosse successo dieci anni più tardi avrei preso il cellulare dopo i primi tre minuti per chiedere: dove sei?, e tutto sarebbe andato diversamente. Mica per forza meglio; ma chissà.

Dedicato a...

Dedicato a quelli che credono nella forza delle parole, a quelli che pensano che anche una parola o un piccolo gesto possono cambiare il  mondo,  a quelli che non si arrendono, a quelli che hanno una passione, a quelli che ci mettono il cuore, a quelli che sanno andare oltre,a  quelli che si aprono agli altri, a quelli che sono generosi, a quelli che hanno in cuore un sogno, a quelli che sanno perdonare o hanno perdonato almeno una volta, a quelli che sbagliano e poi sanno ricominciare, a quelli che imparano dai loro errori, a quelli che ci credono fino in fondo, a quelli che hanno pagato un prezzo per la loro onestà, a quelli che credono nell’amicizia
a quelli che si impegnano nelle cose, a quelli che sono capaci di condivisione, a quelli che sanno faticare per raggiungere i risultati, a quelli che sono capaci di amare, a quelli che sanno far fruttare i loro talenti, a quelli che aiutano chi è in difficoltà, a quelli che danno consigli disinteressati, a quelli che donano un sorriso, a quelli che sanno infondere coraggio, a quelli che sono perseveranti, a quelli che costruiscono piuttosto che distruggere, a quelli che fanno tanto e parlano poco, a quelli che non si aspettano nulla in cambio, a quelli che ti danno tutto e non parliamo di soldi, a quelli che continuano a cercare, a quelli che sanno rinunciare, a quelli che devono fare delle scelte, a quelli che lavorano gratis o sono sottopagati, a quelli che non fanno il lavoro per cui hanno studiato, a quelli che arrivano sempre secondi,
a quelli che si commuovono, a quelli che sono stati fraintesi, a quelli che conservano la capacità di stupirsi, a quelli che si indignano, a quelli che non hanno avuto una seconda occasione, a quelli che ce l'hanno fatta, a quelli che vanno controcorrente, a quelli che sono stati traditi, a quelli che hanno perso quelli che credevano ‘amici', a quelli che non sono stati apprezzati, a quelli che hanno avuto soddisfazione, a quelli che ci mettono l'anima, a quelli che hanno tante idee, a quelli che hanno una fede, a quelli che hanno dei valori e rispettano i valori degli altri, a quelli che hanno superato il senso del dovere almeno una volta, a quelli che continuano a sperare, a quelli che continuano a sognare, a quelli che hanno un 'cuore d'oro', a quelli che sono dolci, a quelli che sono generosi, a quelli che lavorano anche senza avere in cambio nulla di economicamente rilevante, a quelli che affrontano le loro paure,  a quelli che riescono a superare la propria timidezza, a quelli che sanno ascoltare, a  quelli che parlano poco, ma al momento giusto hanno sempre qualcosa da dire....
a quelli che non ce  l'hanno fatta, a quelli che ce l'hanno messa tutta, ma non è stato abbastanza, a quelli che sono stati messi da parte, a quelli che si sono sacrificati, a quelli che non hanno visto riconosciuti i loro meriti, a quelli che ...un raccomandato gli è passato davanti, alle brave persone, a quelli che mettono umanità nei rapporti con le persone e nel lavoro, a quelli che almeno una volta hanno fatto qualcosa che andava al di la del loro dovere, a quelli che si dedicano agli altri.