Il tema del mese: guardarsi dentro
Quando Ema ci ha proposto questo tema, non pensavo che avrei scritto queste cose. Lui ci ha raccontato una storiella carina su una donna che cerca fuori una cosa che ha perso dentro, e la morale era facile, era scontata e assolutamente condivisibile, la morale era d’accordo con me sul fatto che non ha alcun senso cercare fuori quello che sai di aver perso dentro. A questi temi, trasposti in metafore più o meno calzanti, ho pensato spesso in questi giorni. Oggi però, mentre lavavo i piatti, mi è venuto prepotente il pensiero che dentro di noi in realtà ci sia un abisso, e che se perdiamo qualcosa lì non lo ritroveremo mai; quindi il cercare fuori, anche se si tratta di qualcosa che non troverai, assume un altro significato: di illusione, forse, ma anche, in qualche modo, di salvezza. Finta. Ma conta tanto? Comunque sia, ho lasciato lì i piatti da lavare e ho cercato di mettere i miei deliri sulla carta. Devo dire che non sono certa di aver capito cosa ho scritto, ma mi sono divertita tanto.
Guardarci dentro non fa di noi dei saggi, degli eroi, delle persone profonde. Guardarci dentro fa di noi dei pazzi, qualcuno di cui non ci si dovrebbe fidare. Dovremmo essere onesti, e dirlo fino in fondo.
Guardarci dentro non significa vedere le nostre nostre contraddizioni e le nostre bugie – noi che andiamo a messa e insegniamo ai nostri figli che mentire è peccato, non possiamo essere così stupidi da pensare che sia questo il male peggiore.
Guardarci dentro ci mostra le bugie che non abbiamo il coraggio di dire; ci mostra non quello che siamo davvero ma quello che non siamo diventati, e non so quale sia la differenza, non so nemmeno se una differenza ci sia, dovreste guardarvi dentro per capire davvero. Guardarci dentro significa vedere il marcio; anche se siamo brave persone, sì, perché siamo tutti brave persone, e abbiamo tutti il marcio dentro – solo che non lo vogliamo vedere. Le cose peggiori, quelle difficili da dire, sono ben nascoste in fondo: sotto alle paure, sotto alle piccolezze, sotto alle incongruenze, sotto alla voglia che abbiamo di fare cose sbagliate e sotto al coraggio che ci manca per farle davvero. Sotto, in fondo a tutto, c’è qualcosa che non capisco – qualcosa di cui aver paura, qualche che per fortuna, forse, non so.
Sono una persona introspettiva e tendenzialmente noiosa, mi guardo dentro in cerca di profondità perché le cose fuori non mi piacciono, non mi divertono, non mi emozionano; così sono sempre più introspettiva e sempre più noiosa, anche se io dentro davvero non so vedere, perché è troppo buio. Sono un’imbrogliona. Non posso scegliere niente di diverso, non so scegliere, non so trovare un punto d’incontro; non amo la superficialità, però invidio la leggerezza.
Guardarci dentro non ci insegna la strada, e non ci illumina il cammino; non ci dà le risposte, e tanto meno le domande; ma qualcosa fa. Guardarci dentro ci fa forse sentire piccoli, piccoli e insignificanti; e questo, paradossalmente, dà un senso alla nostra vita, al nostro stare al mondo, allo stare in mezzo agli altri. Chissà se sentirsi grandi e invincibili possa darci un senso diverso, e più importante; a me non è mai capitato, ma ho l’impressione che non sia così.
Elena
Diverse vie per giungere a sé
C’era una volta una donna, sulla strada di un villaggio, che continuava a cercare una moneta che aveva perduto. Alcune persone decisero di aiutarla.
«Sei sicura di averla persa qui?» chiese qualcuno, dopo un’ora d’inutile ricerca. A sorpresa, la donna replicò: 
«no, l’ho persa in casa. Ma qui c’è più luce».
«Ma sei stupida?»
«Non più della maggior parte di voi, che cercate all’esterno ciò che si trova dentro di voi».
Questa storiella ha suscitato in me diverse reazioni. Intanto, mi sono chiesto come mai la maggior parte della gente sia letteralmente terrorizzata dal guardarsi dentro. Gli esempi si sprecano. Viceversa, ho riscontrato in molti un’incredibile capacità di appassionarsi ad attività esterne, persino a oggetti.
Ho notato che persino nelle realtà più introspettive, come i corsi di teatro o di scrittura, c’è la tendenza a evadere da se stessi per tuffarsi in un mondo diverso. Sembra che in ogni ambiente ci sia una diversa cura per la propria sofferenza interiore. Come dire: scrivi, che ti passa; recita, che ti passa; pedala, che ti passa.
Se, da un lato, mi sembra che queste siano fughe da sé, o almeno possano facilmente diventarlo, dall’altro credo che siano altrettanti mezzi per conoscere se stessi. Voglio dire, non ci sono mica soltanto abissi e mostri, sotto la nostra superficie. Siamo fatti anche di curiosità, vitalità, passione. E queste cosiddette fughe da sé, in fondo, riconducono di nuovo a sé, ma per altre vie, meno drammatiche rispetto alla psicospeleologia. A volte possono essere parziali, ma hanno un vantaggio immediato rispetto a un percorso psicoterapeutico: sono vie allettanti, e non per questo inutili. Anche perché, è molto più salutare per noi percorrere una via parzialmente utile che evitare in toto un’alternativa che si suppone sia risolutiva, ma che ci spaventa.
Già, ma cosa ci spaventa, esattamente, del rivolgere il nostro sguardo verso l’interno? Qualcuno diceva: se guardi l’abisso, l’abisso fissa i suoi occhi su di te. Forse temiamo di perderci, nei nostri abissi, e di non riuscire più a emergere da essi. Credo sia un rischio reale. D’accordo, incontrare i nostri mostri, eccetera. Ma se iniziamo a frequentarli troppo, a dargli troppo da mangiare… forse rischiamo di dimenticarci quanto può essere semplice essere felici almeno per il tempo di una pedalata, di un bel romanzo, di una vasca termale. Io credo che la gioia di vivere vada presa molto seriamente.
Dunque, sono per un approccio integrato. Consiglierei a chiunque di viaggiare nelle proprie profondità. Ma non da soli. Va scelto con cura, e con sensibile rispetto di sé, il tipo di percorso, e il tipo di persona che eleggiamo a nostro Virgilio.
Non sono favorevole, invece, ad altre fughe, quali la TV, una certa modalità viziosa di tuffarsi nei social network, le chiacchiere inutili, spettegolanti o lamentose, ricorsive. Poco favorevole anche all’investimento di enormi energie psichiche in oggetti che non siano davvero destinati a migliorare le nostre vite. Piuttosto, investiamo in viaggi – dentro di noi, o fuori di noi.
Concludo con una freddura dei Peanuts.
Lucy: non pensi che essere felice ti farebbe bene, Charlie Brown?
Charlie Brown: non saprei… quali sono gli effetti collaterali?
Emanuele
Ho un mondo dentro
Pensando alla tematica che abbiamo scelto mi vengono in mente molte cose.
Mentre stavo, a più riprese, scrivendo questo articolo, riaprendo il file ho scoperto che una parte di quanto avevo scritto non si era salvata! Sto sempre molto attenta che non accada e non riesco ancora a spiegarmelo; era davvero da tanto tempo che non mi succedeva e mi fa davvero salire una tale rabbia dentro…purtroppo so che non troverò più le stesse combinazioni di parole, forse non rifarò nemmeno esattamente lo stesso pensiero. Eppure, ce l’ho “dentro”, ma in realtà lo “avevo” dentro e ora non riesco più a trovarlo. L’avevo lasciato lì sulla carta (anzi sullo schermo che riproduce la carta bianca), ma ora non c’è più.
Il nostro spunto è che, in genere, ci viene più semplice proiettare all’esterno i nostri problemi, i nostri errori allo scopo di cercare giustificazioni e spiegazioni in situazioni o persone terze, mentre, a ben vedere, le risposte devono essere trovate dentro di noi.
Io sono particolarmente “riservata” e spesso ho difficoltà ad aprirmi con le persone. Al contrario, mi capita spesso di guardarmi dentro. Da questo osservarmi ho imparato molto e so anche di essere cambiata profondamente nel tempo. Il cambiamento non è partito da me, ma soprattutto grazie a esperienze e a persone che ho incontrato nella mia vita. Non sono più la persona insicura e timida di un tempo. Ho imparato dai miei difetti e li ho trasformati in piccoli pregi, che apprezzo come dei “doni”. Parlo di quelle caratteristiche che mi rendono me stessa, solo e unicamente quella che sono. Per molto tempo mi sono lasciata condizionare dai modelli imposti dalla società, dalla famiglia, da “altri” e cercavo di raggiungerli, di accontentarli. Poi ho capito che una persona realizzata non è quella che ha raggiunto chissà quali mete o può paragonarsi a grandi personaggi, ma quella che raggiunge semplicemente se stessa, la quale realizza la sua unicità nel mondo.
Alcune volte, se mi guardo dentro, trovo “un mondo”. Intendo dire che trovo un’infinità così grande che non riesco a contenerla e - in certi momenti - ho il desiderio di farla uscire anche all’esterno. Questo si può esprimere con un semplice dialogo tra amici, attraverso una forma d’arte o con la scrittura.
Mi guardo dentro…dove ho sceso i gradini profondi della mia anima, dove ho trovato dolore, nostalgia, tradimenti e anche quei sentimenti che non vorrei mai avere nei confronti di altre persone. Ma ho anche poggiato il mio passo sugli stessi gradini in senso contrario, salendo verso l’alto per vedere oltre l’orizzonte, per uscire dagli schemi, per liberarmi dei bisogni materiali e addentrarmi nella mente e nelle sue potenzialità, nella fantasia, nell’immaginazione, nella conoscenza che si espande incessantemente. 
Mi guardo dentro…alcuni mi considerano ottimista o entusiasta, ma io cerco solo di guardare il bene che c’è nelle persone e nelle cose e concentrarmi solo su quello e fare in modo che da quel bene nasca altro bene: situazioni positive o rinnovate relazioni che ne possano nascere.
Mi guardo dentro e vedo tante cose che non vanno, che vorrei diverse, ma anche tante cose che mi piacciono così come sono, come le ho costruite, come si sono evolute nel tempo.
Mi guardo dentro e, a volte, mi chiedo “ma chi me lo fa fare? perché lo sto facendo? cosa mi anima?”, ma la vera domanda da farsi è: “dove trovo la forza di farlo?”. Se quella forza ce l’ho, che sia una passione, la “fede”, una vocazione o quello che ho nel cuore, perché è la cosa giusta, perché ne vale la pena, perché è un “tesoro prezioso”, non devo farmi troppe domande, devo solo ringraziare di trovare dentro di me tutto questo.
Giulia
 
             
  



