DISCORSI SEMISERI DI TRE ANIME ERRANTI
DISCORSI SEMISERI DI TRE ANIME ERRANTI
Il tema del mese: Viaggi
Prima di inoltrarci a leggere questi articoli, con gioia e soddisfazione, celebriamo il duecentesimo articolo pubblicato su questo sito da quando è stato aperto.
Per noi è un tranguardo. Ultimamente la nostra rubrica sta prendendo molto spazio anche perchè sono pochi quelli che segnalano i loro brevi scritti.
In ogni caso, è una bella esperienza e continua ad essere un libero luogo di incontro di idee e pensieri.
Viaggiare mi piace
Viaggiare mi piace. Mi piacciono le cose nuove; luoghi, persone, abitudini. Colori, odori. Mi piacciono perfino gli autogrill, coi caffè che sanno di cemento, i panini orrendi a cinque euro e i bagni puzzolenti pieni di scritte oscene; quanti dialetti, quante lingue hanno sentito parlare. 
Per tutta l’età adulta – da quando cioè mi sono dovuta pagare le vacanze, e io di soldi non ne ho mai avuti tanti – ho frequentato campeggi e dormito spesso in macchina, arrivando a Gibilterra, Copenaghen, Istanbul, Agrigento – paesi accessibili con la macchina e due settimane di vacanza.
Nel 2016 mio fratello piccolo ha sposato una ragazza armena, e siamo stati tutti al matrimonio a Yerevan. Ecco, questo è stato un viaggio che non ho fatto in macchina; e che non ho pagato io.
Ho scritto un piccolo resoconto, di questa esperienza; in una ventina, tra parenti e amici, siamo partiti dall’Italia: volo Milano – Yerevan, con scalo a Vienna. Il racconto non rende giustizia a quello che ho visto e sentito, e all’idea dell’incontro con una cultura davvero differente; ma è un omaggio alla mia famiglia, alla quale, dopo ogni viaggio, torno sempre.
DISCORSI SEMISERI DI TRE ANIME ERRANTI
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Il tema del mese:
Mondiali e dintorni -
un calcio ai pregiudizi esplorando quell’universo semi-sconosciuto ai più che è il calcio femminile
Agli amici che ci leggono - e che, non per vantarci, saranno venticinque come quelli di Manzoni - un abbraccio di bentrovati. Non abbiamo mai smesso di pensare voi e alla nostra rubrica, ma a volte arrivano messaggi che non si possono non ascoltare, e stavolta dicevano: fermati un attimo. L’estate è passata in fretta, tra ferie e ostacoli da superare; ora siamo qui, un po’più freschi, e pronti per ripartire, con il buon proposito di farvi compagnia con puntualità mensile. Ci metteremo il cuore, come sempre.
Le mie ragazze del pallone
Scrivo queste righe mentre Olanda e Stati Uniti stanno giocando la finale. La tv è a volume basso, se succede qualcosa mi alzo e controllo; in questo momento, per esempio, una ragazza bianca coi capelli viola ha appena segnato un rigore – le bianche sono le americane, le olandesi arancioni.
Parlare di calcio femminile mi riesce difficile. Perché non si può – o forse io non ne sono capace – prescindere dalle differenze (nel calcio e, ovviamente, non solo) tra il mondo maschile e quello femminile, e osservare queste differenze a me fa sempre tanta rabbia.
Vorrei evitare di dire banalità o di risultare anacronistica, ma sono cresciuta in mezzo ai maschi e le differenze, reali o caldeggiate, sono sempre state nette: di ruoli, attitudini, opportunità. E su questo credo di essere rimasta molto indietro, nel senso che vedo che il modo in cui sono cresciuta non va affatto di moda; e se per molti versi ne sono contenta, per altri mi rendo conto che le abitudini ti restano appiccicate a lungo, più strette di quanto vorresti. Per questo, tutto quello che avrei da dire sul calcio femminile, in realtà lo vorrei chiedere: giocano come professioniste, le donne? Quanto sono pagate? Da quanto esiste la nazionale italiana? Da quanto esistono i campionati del mondo femminili? Perché gli uomini sono pagati così tanto? Perché così tanto più delle donne?
Ma vorrei che il mio contributo fosse diverso. Vorrei parlare della mia amica Virna e della sua passione per il calcio, passione che ha in comune con un’altra, di più vecchia data, cara amica, la Giulia (sì, lei! E non vedo l’ora di leggere cos’ha da dire lei, sull’argomento!).
La Virna ha i riccioli biondi e gli occhi chiari da donna del nord, calzino corto anche d’inverno, gambe forti da camminatrice, sguardo furbo. Frequentava con me la facoltà di filosofia, mi passava gli appunti, divideva con me il pasto in mensa. E giocava a calcio.
All’epoca ero talmente interessata al calcio che non saprei ricordare che ruolo avesse – credo terzino, se sapessi cosa fa un terzino; comunque non avanti, un po’ indietro, dava sicurezza alla difesa e solidità all’attacco, o almeno così me la sono sempre immaginata. A volte saltava le lezioni per gli allenamenti, e allora ero io a passarle gli appunti; lei mi insegnava la ginnastica di riscaldamento e quando mi si è bloccata la schiena ha tirato fuori tutti i trucchi di fisioterapista e massaggiatore. Delle compagne di squadra mi parlava con entusiasmo sincero, ed erano amicizie che invidiavo, perché per quanto ci volessimo bene mancava sempre qualcosa: la condivisione di fatica, gioia, fango, adrenalina, delusione; sul campo, e in spogliatoio, sembrava tutto un po’ più vero che nelle aule dell’università – era solo diverso, penso adesso, ma allora mi sembrava così.
“Passione”, però, non è una parola vuota. In campo, con la squadra, i calzettoni al ginocchio, non è che stavano lì solo a dar calci a un pallone; mi immagino che potessero sentirsi vive, ecco. Ed è semplicemente questo che tutti cerchiamo. La Giulia lo direbbe meglio, lei che l’ha vissuto, andate a leggerla.
Nel frattempo la partita è finita e gli Stati Uniti hanno vinto due a zero. Vorrei dire che il calcio femminile, per quanto mi riguarda, è identico a quello maschile, perché mi annoia uguale. Ma se la Virna e la Giulia scendessero in campo di nuovo (magari un campo piccolo, che siamo tutti un po’ invecchiati e il fiato non è più quello dei vent’anni), io farei un tifo sfegatato.
Elena
DISCORSI SEMISERI DI TRE ANIME ERRANTI
Il tema del mese - Nodi di dire
(si ringrazia per la bellissima espressione un refuso di Emanuele).
Per lavoro spesso mi sono trovata a dover utilizzare un linguaggio formale, e ho imparato a scrivere frasi pompose di poco significato; e soprattutto ho imparato a leggere il burocratese, una lingua difficile e mai stata viva, inutilmente pesante, frustrante nella sua complessità e soprattutto nella sua mancanza di soddisfazione finale: una volta che hai capito, la reazione è sempre la medesima, “tutto qua”?
Di mio, però, ho comunque sempre amato la semplicità, e ho scoperto negli anni di studio che chi ha veramente capito non usa tanti paroloni. I discorsi complicati servono a chi è insicuro per confondere un po’ le acque, in modo che l’attenzione si focalizzi sulla forma – e lì si incagli, nel tentativo inutile e forse impossibile di districarsi tra presunte grandi verità – senza arrivare mai alla sostanza, spesso molto più scarna di quanto promesso. I professori all’università dovevano spiegare paradossi logici e moti dello spirito, non proprio robetta: ho imparato a distinguere quelli che mi facevano capire da quelli che non avevano capito nemmeno loro, e una delle grandi differenze era proprio il livello di semplicità del linguaggio utilizzato.
La forma ha una grande importanza: argina un pensiero confuso, lo ordina, ne sottolinea i confini, permette di evidenziare i particolari, nascondere le brutture; ma la forma non è per forza una forma complicata. Anzi, penso che bellezza e semplicità vadano a braccetto, e portino alla profondità. Riempirsi la bocca di tanta pompa spesso stona, e le parole suonano vuote.
Altro discorso è l’influsso delle lingue straniere. Non si arresta (non lo fa, e non si può) e non è detto che vada a impoverire l’italiano, se restiamo utilizzatori consapevoli della nostra lingua. A ognuno di noi, poi, può piacere o dispiacere qualcosa di diverso e di specifico.
Per esempio, se “scannerizzare” è poco carino, “lovvare” a me fa venire l’orticaria; eppure, più di una persona (con figli adolescenti o pre adolescenti, non so se c’entri) mi ha detto o scritto “ti lovvo” e io non ho alcun dubbio che intendessero esprimermi amore, cosa che comunque mi ha fatto piacere – continuo a trovare orribile l’espressione, però. Si può dire che l’italiano non abbia una valida alternativa perché “ti voglio bene” non è la stessa cosa, e forse siamo troppo impauriti dalla parola “amare” – forse abbiamo paura del verbo amare, perché indica un’azione che in qualche modo può comportare una assunzione di responsabilità, come se ci legasse, ci impegnasse, più di quanto siamo disposti a concedere; mentre magari lovvare, suvvia, cosa sarà mai. Chissà. Forse dirlo in inglese ci protegge dall’imbarazzo, forse le mie sono solo seghe mentali – assai probabile, conoscendomi – e si tratta semplicemente di una moda giovane che gli adulti hanno acquisito per osmosi. Resta il fatto che se devo dire a qualcuno che lo amo, dire “ti lovvo” non mi basterebbe.
L’occasione mi è gradita per porgervi 
Distinti saluti.
Elena
DISCORSI SEMISERI DI TRE ANIME ERRANTI
Eccoci per il nostro appuntamento mensile.
Le immagini che vedete sono state create dall'illustratore Jacopo Pasqualotto.
Jacopo realizza questi disegni appositamente per noi, sono lavori unici e originali che noi riteniamo anche molto belli.
Lo ringraziamo in modo particolare perché sappiamo che spesso se vedete troppe righe scritte senza neanche un'immagine non vi fermate neppure... Dite la verità, sono i disegni che catturano la vostra attenzione! Solo in un secondo momento vi rendete conto di quanto i nostri discorsi siano simpatici e interessanti :-)
Pensate a due oggetti molto comuni: un foglio e una matita...che meraviglia, quale magia, ogni volta che scopriamo come un piccolo e semplice segno posato con maestria su un foglio di carta bianco possa arrivare dritto al cuore e trasmettere un’emozione!
Buona lettura!
Elena, Emanuele, Giulia
LA TEMATICA DI OGGI:
'LAVORO: ANTROPOLOGICAMENTE SANO?'
 
Sono stata licenziata, ultimo giorno: 31 maggio 2017. Sono quasi nove mesi che non lavoro, a parte una parentesi di poche settimane sotto natale.
Il tempo è passato in fretta. Essere disoccupati è in realtà un lavoro molto impegnativo – dando qui per scontato che si abbia bisogno di uno stipendio per vivere – anche se non devi mettere la sveglia tutte le mattine alla stessa ora. Credi di non dover andare nello stesso posto tutti i giorni, alla stessa scrivania, seduta davanti allo stesso computer. Invece poi finisci per fare proprio così. A scrivere curriculum e lettere di presentazione che verranno scartate senza nemmeno essere lette. A iscriverti a millecinquecento pagine che offrono lavoro, e riscrivere per tutte le millecinquecento i tuoi dati personali e lavorativi, senza che a nessuno venga in mente di chiederti a cosa pensi la sera prima di addormentarti. A leggere annunci, valutare, rispondere con coerenza e intelligenza. Ad aggiornare il cv in tutte le millecinquecento pagine.
Non ho dimenticato la mancanza d’aria e l’ansia che mi prendeva in ufficio. Sono passati tanti mesi, ma sembra ieri: la sensazione di essere un personaggio adesivo appiccicato nel paesaggio sbagliato. Cosa ci faccio qui? Dove sono i miei simili? Perché mi hanno abbandonato?
Ci chiediamo se il lavoro sia antropologicamente sano.
DISCORSI SEMISERI DI TRE ANIME ERRANTI
Discorsi semiseri di tre anime erranti...entusiaste, curiose, idealiste, oneste, ironiche.
È così che ci vediamo l'uno attraverso l'altra.
Questa che vi presentiamo è la prima rubrica di ‘ingiustiziequotidiane’.
La trirubrica è un esperimento. Nasce dall’idea che un’opinione può essere interessante, due opinioni sono un dialogo, tre opinioni sono un confronto; per questo abbiamo deciso di presentare uno stesso argomento da più punti di vista.
Siamo in tre, abbiamo voglia di esprimerci, di comunicare, e nessun interesse a convincere chicchessia.
Mettiamo in gioco le nostre idee, non le vendiamo, non le imponiamo; le condividiamo per confrontarci, tra di noi e con chi vorrà.
Ognuno di noi parte da una propria visuale del mondo; le nostre esperienze, la famiglia, il carattere, tutto ci porta ad avere un punto di vista unico, il che è una ricchezza: ma la ricchezza più grande è condividere i punti di vista per allargare la conoscenza.
Sceglieremo dei temi che ci sono cari, o che riteniamo interessanti; da lì partiremo dicendo la nostra, sapendo che siamo in continua crescita e ricerca, rimanendo aperti al dialogo, cercando di rifuggire gli stereotipi, imparando da chi vede le cose in modo diverso da noi.
Questo è, soprattutto, per noi importante, ed è per questo che questa rubrica è nata. Sapere che c’è sempre un altro punto di vista, un altro modo in cui puoi vedere le cose, ti aiuta a rispettare gli altri, a non giudicarli senza conoscerli.
Non è facile, ma si può fare. Quindi, se dopo averci letti avete voglia di dire la vostra, noi vi leggeremo con gratitudine.
Buona lettura!
Elena, Emanuele, Giulia
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Il tema del mese - Privacy: tutela reale o apparente?
Un pomeriggio piovoso ho passato un’ora su internet cercando un appartamento per il week end successivo – avevo un corso in un’altra città, mi serviva un posto comodo dove dormire. Sono cose che facciamo tutti, e tutti i giorni, ormai: booking mi propone tutto quello che mi serve, lo spazzolino elettrico di amazon costa meno di quello della farmacia, ibs fa un sacco di sconti, il corriere mi porta a casa tutto senza che io faccia alcuna fatica. Quello di cui oggi volevo parlare non è quanto triste sia, con tutta questa tecnologia, perdere i contatti umani – la consulenza di un professionista, un consiglio, un confronto – anche perché la vera tristezza è, secondo me, che i contatti umani sono per la maggioranza già persi; quello di cui oggi vorrei parlare è invece la precisione con cui, una volta che io ho scelto il mio prodotto da acquistare, quando apro una qualsiasi pagina di internet mi compare la pubblicità di quel prodotto. E tu come cazzo fai a sapere che mi serve? Non sto dicendo che sono così ingenua da non immaginarlo. Sto dicendo che chiunque sa i fatti miei, è evidente, ed è anche paradossale: perché mai come oggi firmiamo moduli su moduli che parlano di privacy per qualsiasi cosa facciamo. Pensiamo di firmare perché la nostra privacy sia tutelata, ma scopriamo che non è così. Forniamo informazioni personali – numero di telefono, colore dei capelli, preferenze cinematografiche, chili da perdere o da prendere - anche solo per chiedere, a nostra volta, informazioni, in una spirale infinita che ci fa dimenticare che cosa stavamo cercando e che spesso ci scoraggia, ma troppo tardi!, perché senza accorgercene abbiamo appena dato il consenso a una società che fornisce piastrelle a prestare il nostro numero di telefono a qualcun altro che ne farà buon uso, a tutte le ore, ma specialmente a ora di cena. In piccolino, in una delle centinaia di pagine che ci fanno firmare, c’è spesso scritto qualcosa riguardo a questo; e anche on line, nei vari “consenti” - che tanto poi, se non consenti, non puoi fare nulla: non puoi fare i test sulla personalità per capire cosa farai da grande o se staresti bene con le lentiggini, non puoi chiedere un preventivo su subito.it e scoprire quanto poco costa l’assicurazione; non puoi nemmeno iscriverti a un corso on line sulla privacy. E naturalmente, oltre a tutte queste porcherie scritte in piccolo, c’è anche lo scambio di dati, non scritto, non legale (non sono un’esperta, ma dubito che qualcuno possa smentirmi): elenchi di numeri che vengono passati da una società all’altra, venduti, prestati, regalati, non importa; adesso hanno il tuo numero e senti, ti sta squillando il telefono, rispondi?
Elena
 
             
  









