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20 marzo 1994, alcuni di noi se lo ricordano, forse non la data esatta, ma scorrono nella memoria le immagini di quel ‘pick up’ con la grande scritta Toyota sul retro, uno quelli che appaiono sempre nei documentari che parlano dell’Africa. Solo quello è rimasto insieme ai corpi straziati. Sto parlando dell’omicidio della giornalista Ilaria Alpi e del collega operatore Miran Hrovatin. Due professionisti che con passione cercavano di fare bene il loro mestiere.

Quando hanno detto che erano passati vent’anni quasi non ci credevo…oggi sono trenta, ma è così ed è giusto ricordare quella vicenda. Una delle più grandi ingiustizie della storia italiana del dopoguerra. Uno di quei casi giudiziari ancora irrisolti, senza certezze, senza colpevoli.

Una vicenda che fa rabbia e la dice lunga su come sia possibile cancellare le tracce, zittire la stampa, manipolare l’informazione.

Si è saputo solo - anche se in tutti i modi hanno cercato di nasconderlo - che la giornalista stava indagando sui rapporti tra Italia e Somalia e su un possibile traffico di rifiuti tossici e di armi. All’epoca del governo Craxi degli anni ‘80, la Somalia era il principale destinatario dei finanziamenti della cooperazione italiana e l’inchiesta giornalistica riguardava proprio la destinazione di quelle somme di denaro.

Per quegli omicidi una sola condanna, quella di Hashi Omar Hassan accusato di aver fatto parte del commando di somali che uccise i due giornalisti italiani. Come si sospettava, era stato tutto orchestrato ad arte e si trattava solo di un capro espiatorio, infatti nel 2016, a seguito del processo di revisione, l'imputato fu assolto dall'accusa di duplice omicidio e immediatamente scarcerato con la corresponsione di una cospicua somma ad indennizzo per l'ingiusta detenzione.

Bene, ma è chiaro che un agguato del genere abbia dei committenti eppure, di questi, nessun indagato, nessun sospettato, mille ipotesi. Fin dal principio è cominciato il depistaggio per impedire di arrivare alla verità. Li hanno messi a tacere e nessuno mai dovrà sapere ciò che avevano scoperto.

Gli appunti della giornalista sono stati trafugati, parti essenziali occultate, distrutte. Dalla Somalia non sono mai arrivati integri e completi in Italia. Si sa solo che - arrivati a Mogadiscio il 12 marzo - il 17 marzo, Ilaria e Miran avevano intervistato il sultano di Bosaso, A. B. Muse. Mariangela Gritta Grainer, presidente dell’Associazione Ilaria Alpi e componente della Commissione d’inchiesta sulla cooperazione italiana e consulente della Commissione sul caso Alpi, nel tentativo di ricostruire la vicenda afferma: “sappiamo che Ilaria aveva raccolto materiale importante e anche le prove di un traffico d’armi e di rifiuti tossici individuando responsabilità: per questo è stata uccisa insieme a Miran, prima che potesse raccontare ‘cose grosse’ come aveva annunciato alla Rai (...). Sappiamo quel che è successo quella domenica 20 marzo 1994. Sappiamo quel che è successo prima e anche dopo. Sappiamo il perché, forse anche da chi era composto il commando assassino. Non sappiamo con certezza chi ha ordinato l’esecuzione e chi ha coperto esecutori e mandanti. Ma vogliamo cercare ancora, mettendo all’opera tutti gli strumenti della conoscenza: questo è il nostro impegno”.

Possiamo dire una cosa al di là delle menzogne per tacitare i dubbi di coloro che vengono etichettati come 'complottisti' o di coloro che, più semplicemente, sono assetati di verità. Sebbene non ne conosciamo i nomi né i cognomi e nemmeno le istituzioni (ufficiali o non ufficiali) a cui appartengono coloro che hanno ordinato l’esecuzione e chi li ha coperti, in realtà, conosciamo bene “chi sono” i mandanti di questi omicidi...sono quelli che mettono il denaro in cima alla scala dei valori della propria vita, quelli che non si fanno scrupoli, quelli che hanno fame e sete di potere, quelli che nascondono sempre la verità per occultare i loro crimini, quelli che insabbiano sistematicamente ogni tentativo di libera informazione, quelli che hanno dei segreti da nascondere e nessuno dovrà mai scoprirli, quelli che pensano solo ai propri interessi personali, quelli che fanno politica credendo che lo Stato sia solo una macchina per produrre soldi e potere in favore di un circolo ristretto di persone, quelli che non sanno cosa significhi altruismo, solidarietà, generosità, quelli che hanno negato il futuro a tante persone per meri fini egoistici, quelli che pensano i non dover rispondere mai a nessuno, quelli che la passano liscia (almeno in questo mondo), quelli che si sentono i ‘più’ furbi, quelli che si sentono appagati dall'avere le tasche piene di denaro, quelli che non hanno rispetto per gli altri, quelli che non sanno cosa sia la dignità umana, quelli che non vedono la ricchezza del cuore delle persone, ma le trattano solo come un mezzo per raggiungere i loro scopi, quelli che usano ogni mezzo, lecito o illecito, per mantenere i propri privilegi, quelli che sfruttano finanche popolazioni più deboli e in difficoltà, senza cura e in spregio della loro salute, quelli che hanno e avranno sempre la coscienza sporca: ricchi fuori, poveri dentro.

Giulia Drioli